Crescita e forma degli alberi – Prima Parte
by Davide (43) | 1 commenti | 12787 visite
Prima Parte – Seconda Parte – Terza Parte
Articolo di Andrea Borghi per gentile concessione di www.bonsai-italia.org
Introduzione
La crescita delle piante è un processo molto più complesso e meno intuitivo di quello che appare a un primo sguardo. Infatti osservando ad esempio la crescita di un animale, da un semplice insetto a un animale superiore o all’uomo, si può affermare che da un certo momento in poi la struttura corporea e l’aspetto esteriore raggiungono una forma definitiva, che non cambia più fino al sopraggiungere della morte, fatta eccezione per piccole variazioni dovute alla normale maturazione e invecchiamento dei tessuti e degli organi.
Un albero invece non raggiunge mai una forma definitiva: i rami sviluppano in continuazione nuovi germogli, che a loro volta diventano rami i quali porteranno futuri germogli, e così via in un processo di ripetizione e reiterazione che, di fatto, permette di affermare che una pianta non smette mai di “crescere” finché non conclude il suo ciclo vitale. Certo, un albero una volta raggiunta la maturità non va oltre una certa altezza, i suoi rami non si allontanano indefinitamente dal tronco e dalle radici, eppure all’interno della sua chioma rami nuovi vengono continuamente prodotti, e il tronco continua a ingrossare aggiungendo di anno in anno un sottile cerchio. Nel complesso la quantità totale di vegetazione a un certo punto smette di aumentare, può anzi diminuire in età avanzata a causa della perdita di alcuni rami vecchi o danneggiati. Eppure nuovi apici e nuove foglie danno alla pianta, per quanto vetusta una veste sempre giovane.
Il segreto di questa “eterna giovinezza” è da ricercarsi nella struttura stessa dei tessuti vegetali, i quali non sono organizzati in organi in senso “animale”, ma sono distribuiti in tutta la pianta in modo più o meno omogeneo.
Crescita degli apici
L’apice di ciascun germoglio contiene al suo interno delle cellule embrionali, derivanti cioè direttamente dall’embrione che costituiva il seme della pianta. Tali cellule indifferenziate sono dette meristema primario, per via del fatto che da esse si originano tutti gli altri tipi di cellule adulte, aventi le forme e le funzioni più disparate. Una cellula iniziale finchè resta indifferenziata può solo suddividersi e dare origine ad altre cellule iniziali, all’infinito. Quando alcune cellule iniziali si “differenziano”, allora da quel momento in poi smettono di moltiplicarsi e iniziano ad accrescersi e a modificare la loro forma a seconda del tessuto che andranno a formare: tessuti tegumentari (con funzione di protezione), tessuti parenchimatici (fotosintesi ed accumulo di acqua o nutrienti), tessuti di trasporto (xilema e floema), tessuti di sostengo (con funzione meccanica di resistenza). Questi tessuti iniziano a differenziarsi dal meristema primario in prossimità dell’apice andando a formare una struttura, detta gemma, composta da: bozze fogliari e internodi.
Quando una gemma inizia a crescere, dando vita a un germoglio, le sue cellule iniziano a dividersi e ad accrescersi per distensione: le bozze fogliari andranno a formare le foglie, mentre gli internodi si allungheranno, formando tratti di fusto privi di foglie compresi tra due “nodi” successivi. All’interno di foglie e internodi vengono a formarsi dei fasci conduttori che hanno una doppia funzione: trasportare acqua e microelementi dalle radici alla foglia (xilema) e trasportare la linfa elaborata dalla foglia durante la fotosintesi, agli altri tessuti (floema). Ciascun fascio conduttore partendo dallo stesso nucleo di cellule iniziali, forma da una parte il floema e dall’altro lo xilema, e la distribuzione di tali fasci all’interno del fusto riflette la disposizione di ogni singola foglia, essendosi formati contemporaneamente a questa durante il differenziamento. I fasci sono disposti nella zona periferica del fusto, subito sotto il tegumento, mentre tra un fascio e l’altro e nella zona centrale del fusto il tessuto è di tipo parenchimatico, formato da cellule di riserva e accumulo di acqua e sostanze energetiche elaborate dalle foglie.
All’ascella delle bozze fogliari si formano poi delle protuberanze dette “primordi di ramo”, questi differenziandosi daranno poi origine a nuove gemme della generazione successiva, e sono di fatto veri e propri apici esattamente come quello di partenza.
Questo insieme di componenti dell’apice vegetale prende il nome di Struttura Primaria, essendo derivata direttamente dal meristema primario, ossia da cellule embrionali.
Anche l’apice di ciascuna radice è costituito da una struttura primaria simile a questa, anche se, essendo diversa la funzione, risulta diversa anche la disposizione dei vari tessuti.
Crescita del Legno
Quando il fusto primario raggiunge la maturazione, i suoi tessuti, ad eccezione dell’apice e delle gemme laterali, sono costituiti da cellule ormai differenziate e adulte, le quali non sono più in grado di rigenerarsi per far fronte ad un’ulteriore crescita degli apici. A questo punto l’unico modo che ha la pianta per mantenere in vita gli apici e farne crescere di nuovi, è quello di costruire una nuova struttura: alcune cellule adulte del fusto regrediscono allo stato embrionale e vanno a formare un meristema secondario, così chiamato perché non derivato direttamente da quello primario, ma appunto da cellule adulte. Negli spazi compresi tra i fasci conduttori primari, si forma così uno strato di cellule detto “cambio”, che si chiude attorno al fusto formando una circonferenza (vista in sezione). Questa in realtà si estende per tutta l’altezza del fusto, e forma quindi un cilindro cavo di cellule meristematiche.
Il cambio inizia poi a duplicare le proprie cellule, sia verso l’esterno, formando un anello continuo di floema (libro), sia verso l’interno formando un anello di xilema (legno): questi nuovi tessuti garantiscono la continuità degli scambi tra le radici e gli apici in continuo accrescimento.
Via via che nuovi germogli si formano, i rami precedenti lignificano e iniziano l’accrescimento secondario. Quindi con il passare del tempo, nei rami più vecchi e nel tronco, il cambio deve continuare a produrre internamete nuovo xilema che si sovrappone a quello più vecchio via via che questo si degrada e perde la sua funzione. Le cellule dello xilema quando muoiono rimangono nella parte più interna del fusto, assumendo funzione di sostegno. Questo legno morto è chiamato duramen, e per evitare che marcisca viene impregnato di tannini e altre sostanze prodotte dal legno vivo.
Esternamente al cambio avviene invece la formazione di nuovo floema. Solo che in questo caso, l’espansione del cambio fa sì che il floema più recente spinga il più vecchio verso l’esterno. La sua capacità di espandersi è però limitata, e lo strato di cellule attive è sempre molto sottile. Il floema più esterno si de-differenzia nuovamente, creando un ulteriore tessuto meristematico, il fellogeno : questo va a formare delle cellule tegumentarie: il periderma e la corteccia in cui la cui parete cellulare è composta da sughero.
Il fellogeno ha però vita breve: venendosi a trovare in una zona non più alimentata, le cellule della corteccia muoiono, e vengono spinte verso l’esterno, deformandosi a causa della crescita, assumendo così un aspetto fessurato. Ogni anno quindi un nuovo strato di fellogeno si forma più internamente a partire dal floema.
La quasi totalità delle piante che vivono in climi temperati freddi, ha ritmi di crescita che seguono le stagioni e sono perciò discontinui: durante la stagione invernale la crescita subisce un arresto, per poi riprendere in primavera.
La crescita primaverile è quella che richiede più acqua, grazie alla formazione di nuovi germogli e nuove foglie, per tanto lo xilema formato in primavera è costituito da cellule molto più grandi e con parete cellulare sottile, che consentono un maggior trasporto idrico, mentre durante l’estate la nascita di nuove foglie rallenta, e di conseguenza le cellule xilematiche estive sono più sottili, e con parete cellulare più spessa, con funzione di sostegno. Terminata la stagione vegetativa la pianta va a riposo e smette di produrre nuovo legno fino alla primavera successiva: questa alternanza annuale tra xilema primaverile ed estivo è ben visibile a occhio nudo in una sezione trasversale del tronco e consente di valutare l’età di un albero dal conteggio del numero di cerchie annuali.
La struttura secondaria è tipica delle gimnosperme (conifere) e delle angiosperme dicotiledoni (altre specie a fusti legnosi). La classe delle angiosperme monocotiledoni invece è caratterizzata dall’avere solo una struttura primaria: essa comprende per lo più piante erbacee a ciclo annuale o perenne, bulbose, rizomatose, e anche piante simili ad alberi, come le palme, caratterizzate dall’avere un unico apice primario che si allunga senza avere accrescimento diametrale.
Fotosintesi
Per capire perché e come un albero cresce, occorre ricordare brevemente un’altra grande differenza tra piante e animali: la fotosintesi. Grazie ad essa, le piante sono in grado di produrre tutto ciò di cui hanno bisogno senza “nutrirsi” come invece fanno gli animali. La fotosintesi consiste nell’utilizzare la luce del sole per trasformare acqua e anidride carbonica in glucosio, che è l’unità iniziale di trasporto dell’energia, senza la quale è impossibile sintetizzare altre sostanze. Perciò, a una pianta occorre acqua, che ricava dal terreno grazie alle radici, e CO2 presente nell’aria. Fisicamente, l’acqua sale dalle radici lungo i condotti dello xilema, grazie alla depressione creata dalla perdita stessa di acqua attraverso le foglie (traspirazione), che in questo caso funzionano come una pompa, in grado di sollevare acqua contro la forza di gravità anche a decine di metri di altezza. Viceversa, gli zuccheri prodotti dalle foglie scendono lungo i condotti del floema per trasporto attivo: essendo più concentrati in corrispondenza delle cellule sorgenti, l’acqua viene richiamata per osmosi portandoli in soluzione, e rendendoli così disponibili per tutte le cellule, soprattutto quelle che non sono in grado di svolgere la fotosintesi. Gli zuccheri in eccesso vengono trasformati in amido allo stato solido, pronto per essere idrolizzato in caso di necessità.
Le cellule infatti, per poter vivere, al pari di quelle animali, “bruciano” l’energia contenuta negli zuccheri, facendo esattamente l’operazione inversa della fotosintesi, liberando nuovamente CO2. Il bilancio energetico deve quindi essere positivo: se così non fosse, sarebbe maggiore l’energia consumata di quella prodotta, e la pianta morirebbe. Esiste per ciascun pianta una soglia minima di luce, detta punto di compensazione, al di sotto della quale la pianta non è in grado di ottenere sufficiente energia dalla fotosintesi, e non è perciò in grado di vivere a lungo. Sopra questa soglia invece la pianta accumula energia, e mediante successive trasformazioni può generare nuovi tessuti e crescere.
Esistono poi altri elementi, non meno importanti: azoto, fosforo, potassio, ferro ecc…, che si trovano nel terreno, e servono assieme al carbonio introdotto con la CO2, come materiale da costruzione per le cellule, ma non possono essere considerati una fonte principale di nutrimento: senza la luce del sole e la fotosintesi attuata dalle foglie sono del tutto inutili.
Forma naturale
La forma globale di un albero è plasmata dall’azione combinata di crescita primaria e secondaria, le cui regole sono scritte nel genoma, quindi tipiche di una specie, ma soprattutto è dovuta all’età fisiologica, intesa non come età effettiva, ma come stadio di sviluppo della struttura in cui si trova la pianta in un dato momento della sua vita. Infine la forma, è influenzata anche dall’ambiente esterno, soprattutto in quei casi estremi in cui la lotta per la sopravvivenza determina un adattamento della forma a particolari agenti esterni. Durante lo sviluppo di un germoglio si ha la formazione di foglie, internodi e gemme laterali. Queste ultime, nella maggior parte degli alberi che vivono in climi temperati-freddi, non si attivano prima della primavera successiva. Ma anche allora la possibilità di crescere e dare origine a un nuovo germoglio, è fortemente influenzata da quella che viene detta “dominanza apicale”: la gemma che si trova all’apice è la prima ad attivarsi, e le sue foglie in crescita producono ormoni (auxine) che scendono lungo il ramo bloccando lo sviluppo delle gemme inferiori, convogliando di fatto acqua e minerali esclusivamente verso l’apice. In tal modo, da un ramo nato in un certo anno, si svilupperanno solo alcune delle gemme: talvolta solo quella apicale, determinando il semplice allungamento del ramo senza produrre nuove ramificazioni; talvolta solo quelle immediatamente sotto l’apice, oppure quelle più basse e lontane dall’apice, in quei casi dove la dominanza apicale ha un’influenza limitata (piante basitone, per lo più arbusti)
Il meccanismo della dominanza apicale varia durante lo sviluppo: in primavera, quando la gemma apicale sta per schiudersi, le auxine bloccano l’apertura delle gemme laterali, e concentrano le energie e le risorse verso l’apice. In questa fase, per poter attivare le gemme laterali, è sufficiente rimuovere la gemma apicale e immediatamente quelle sottostanti si attivano, determinando la partenza di uno o più germogli, i quali poi ripristinano a loro volta la dominanza apicale sulle gemme sottostanti. Più avanti in primavera, quando le foglie hanno raggiunto la maturità, non sono più le auxine a bloccare le gemme, ma altri meccanismi legati alla presenza delle foglie adulte. In questa fase, per attivare le gemme laterali non è più sufficiente rimuovere l’apice, ma è necessario eliminare anche un certo numero di foglie adulte. Più avanti ancora, nel corso dell’estate, neppure la defogliazione è in grado di eliminare l’inibizione delle gemme laterali, a causa di altre inibizioni interne alla pianta.
Nella pratica bonsai è necessario ridurre o eliminare la dominanza apicale, al fine ad esempio di evitare che un ramo si allunghi troppo, e di consentire lo sviluppo di germogli più arretrati. Alla luce delle considerazioni viste, è facile comprendere che durante la primavera, con la potatura dei rami e la successiva cimatura dei nuovi germogli, si stimola l’apertura delle gemme più arretrate, inoltre mediante la defogliazione dei nuovi germogli è in molti casi possibile ottenere la partenza anticipata di nuove gemme, cioè quelle sullo stesso germoglio dell’anno in corso. Ma occorre tenere presente che dal mese di luglio in poi tali pratiche in molti casi diventano perfettamente inutili e spesso dannose.
Bisogna a questo punto fare anche una distinzione tra diversi tipi di crescita dei germogli a seconda delle specie. Ci sono specie la cui crescita è completamene predeterminata: in tali casi cioè, il numero di foglie e internodi del singolo germoglio in un dato anno è già stabilita all’interno della gemma: quest’ultima infatti l’anno precedente ha sviluppato un certo numero di bozze fogliari e internodi, che si svilupperanno nell’anno in corso. Al termine della crescita, il germoglio formerà una nuova gemma apicale che in condizioni naturali si aprirà solo l’anno dopo. Le piante di questo tipo, dette aritmiche , in caso di buon vigore anziché produrre nuove foglie tendono a sviluppare un aumento della dimensione delle foglie e un forte allungamento degli internodi. Altre specie invece, hanno una crescita a flussi successivi nell’arco della stessa stagione vegetativa: una volta che il germoglio sviluppa tutte le sue foglie, si interrompe per un breve periodo e poi la nuova gemma apicale prosegue il suo sviluppo con nuove foglie e internodi. In queste piante, dette ritmiche , in un anno possono svilupparsi diverse generazioni di foglie su uno stesso ramo, e un eccesso di vigore si traduce in un maggior numero di foglie, le quali restano di dimensioni costanti più piccole e con internodi più corti. Sono specie aritmiche: aceri, frassini, platani, fichi ecc.. Sono invece specie ritmiche: querce, olmi, olivi, meli, prunus, ecc…
Per questo motivo, piante come gli aceri allevati a bonsai, se non si tengono sotto controllo annaffiature e concimazioni, soprattutto in primavera, tendono a sviluppare foglie molto grandi e internodi lunghi, rendendo quasi obbligatoria la defogliazione. Addirittura alcune specie, come l’Acer pseudoplatanus (acero di monte), oppure lo stesso platano, sono estremamente difficili da tenere sotto controllo nonostante questi accorgimenti, al punto che la loro coltivazione a bonsai è sconsigliata. Altre piante invece, come ad esempio l’olmo, non necessitano di defogliazione perché essendo ritmiche presentano foglie e internodi di dimensioni costanti: hanno bisogno invece di continue cimature, grazie a uno sviluppo quasi ininterrotto di nuove cacciate.
La dominanza apicale, che agisce a livello delle gemme, determina poi un’influenza sulla crescita dei rami una volta che una gemma si “sblocca” per dare origine a un nuovo germoglio. A livello dell’intera pianta infatti, l’effetto delle auxine è quello di convogliare acqua e sali minerali preferibilmente verso alcuni rami rispetto ad altri. Gli effetti di questa disparità tra rami “dominanti” e “dominati” sono sostanzialmente tre:
- Acrotonia: è lo sviluppo maggiore dei rami più alti rispetto a quelli bassi. Di fatto è il meccanismo che permette agli alberi di crescere in altezza, distinguendoli da arbusti e cespugli che sviluppano maggiormente rami bassi (basitonia).
- Plagiotropismo: è la crescita dei rami in direzione orizzontale. Più un ramo è dominato, più tenderà a svilupparsi preferibilmente in orizzontale, mentre i rami dominanti tenderanno a crescere inclinati verso l’alto o verticali.
- Simmetria orizzontale e ipotonia: mentre il ramo apicale è verticale e ramifica con simmetria radiale (rami in tutte le direzioni), un ramo dominato tende a ramificare con una simmetria orizzontale, ossia con rami disposti su un piano orizzontale (o inclinato) e ipotoni, ossia che crescono verso il basso (o verso l’esterno), mentre non svilupperà rami verso l’alto o verso l’interno della chioma
La combinazione i questi fattori determina la crescita dell’albero e la sua forma. La struttura di un albero non è statica e non è mai definitiva, in quanto si riferisce a un particolare momento del suo sviluppo. Occorre quindi descrivere come evolve nel tempo la struttura di un albero naturale. Esistono una decina di “fasi” dello sviluppo di un albero partendo dal seme fino ad arrivare alla morte, ma si possono riassumere in tre “macro-fasi”: Crescita, maturità, vecchiaia.
Foto 1- Quercus robur (farnia), la parte superiore del tronco è suddivisa e non si distingue più un apice unico (fase 6) |
Le fasi della crescita (da 1 a 4 in figura) sono fortemente influenzate dalla dominanza apicale e dagli effetti che abbiamo appena descritto: un albero giovane è caratterizzato da un unico asse verticale (ramo apicale) e da una serie di rami fortemente dominati da questo. I rami più vicini all’apice sono anche quelli più vigorosi (acrotonia), e inclinati verso l’alto, mentre via via che si scende troviamo rami sempre più orizzontali che a loro volta ramificano verso il basso (ipotonia). La crescita di questo tipo è detta monopodiale. Con lo sviluppo in altezza sempre maggiore, si ha anche un conseguente allungamento del percorso che deve fare l’acqua per salire dalle radici all’apice contro la forza di gravità: si raggiunge quindi un punto in cui l’apice perde via via la propria dominanza sugli altri rami: le branche subito sottostanti iniziano a prendere il sopravvento, la loro crescita si orienta verso l’alto e iniziano ad assumere una simmetria radiale (isotonia): ciascun apice ripete il modello di crescita dell’apice originario, e diventa indipendente da questo, le sue ramificazioni finiscono a loro volta per prendere il sopravvento, e così via (fasi 5 e 6).
La chioma assume la forma di una cupola, non si distingue più una linea del tronco, ma una serie di tronchi secondari che ramificano progressivamente (crescita simpodiale). I rami più bassi, nati per primi e fortemente dominati, finiscono per morire progressivamente. Siamo nelle fasi di maturità: ora lo sviluppo in altezza termina, e i rami si rinnovano per sostituzioni successive: la crescita li porta a inclinarsi sotto il proprio peso, permettendo alle ramificazioni che crescono verso l’alto di svilupparsi maggiormente (epitonia): queste uccidono quelle sul lato inferiore e in seguito l’asse principale stesso, andando a sostituirlo, e così via (fasi 7 e 8). Infine sopraggiungono le fasi della vecchiaia: prima o poi comincia a venir meno il rapporto tra la vegetazione e le radici, le parti verdi devono produrre una quota di energia sempre più alta per nutrire tessuti non produttivi (quelli del legno, che aumenta sempre a causa della crescita secondaria di tronco, rami e radici), inoltre la funzionalità delle radici è via via compromessa, perché con l’accrescimento diametrale del tronco, la parte viva si allontana sempre di più dal centro, e le radici più interne finiscono per morire, limitando l’apporto idrico ai rami, soprattutto agli apici più lontani: da quel momento, il vigore della pianta si concentra sempre più verso la base dei rami e verso il tronco. I rami più esterni vengono abbandonati e vecchie gemme quiescenti si riattivano, ricostruendo una ramificazione sempre più interna (fase 9). Ma con il passare del tempo la vegetazione diventa insufficiente a mantenere l’intera struttura lignea: il cambio inizia a diventare discontinuo formando dei vuoti. L’attività del cambio si concentra attorno alle ultime ramificazioni rimaste, e forma nuove radici nella parte più esterna, finchè l’albero si suddivide in colonne (ciascuna formata da branche, pezzi di tronco e radici) completamente separate e indipendenti l’una dall’altra, di fatto individui fisicamente separati da tratti di legno morto (fase 10). Questa situazione è comunque molto rara, perché nella maggior parte dei casi l’albero muore per altre cause patologiche dovute al suo progressivo indebolimento.
Foto 2 – Acero di monte (Acer pseudoplatanus) Madonna dell’Acero (Corno alle Scale). L’albero ha più di 400 anni. Lo stato di deperimento generale denota la perdita di gran parte della ramificazione originaria, e la formazione di branche epitoniche direttamente dal tronco e dal ramo rimasto (fase 9). |
Queste fasi sono tipiche di tutti gli alberi, angiosperme e conifere, anche se per queste ultime ci possono essere delle differenze in termini di selezione dei rami: ad esempio, mentre i pini tendono a seguire questo modello, gli abeti hanno una forte persistenza del germoglio apicale per gran parte della loro vita, inoltre l’albero attua una preselezione dei rami, i quali non hanno bisogno di essere rinnovati così di continuo, ma in ogni caso le fasi finali sono ben visibili.
Figura 3 -Platano di Ippocrate (Kos, Grecia). Ha più di 2500 anni. Il tronco originale si è completamente separato e le sue parti formano diversi esemplari indipendenti (fase 10). |
Fattori ambientali
Le fasi di sviluppo che caratterizzano la crescita naturale sono un modello che l’albero segue quando è libero di crescere e sussistono condizioni ottimali che ne favoriscono la sua naturale espressione. Ma in natura non sempre le condizioni ambientali sono ideali, e in molti casi uno o più fattori contribuiscono a disturbare la crescita, plasmando l’albero che per istinto di sopravvivenza deve continuare a crescere adattandosi all’ambiente.
Foto 4 – Ginepri. Esposizione ai venti, salsedine e siccità hanno prodotto tronchi e rami avvolti a spirale e vaste porzioni di legno secco. |
Piante che crescono in zone particolarmente esposte al vento subiscono sia effetti meccanici (rotture e piegature di rami, sradicamento del tronco), sia effetti termici o chimici (salsedine, essiccamento di gemme dovute ai venti caldi o freddi), che provocano una crescita mono-direzionale della vegetazione, o la morte di rami che poi seccano formando vere e proprie sculture. In ambienti soggetti a smottamento o erosione del terreno si assiste a cambi di inclinazione o scopertura dell’apparato radicale. Fulmini e incendi provocano cicatrici estese all’intera pianta. La presenza di altri alberi vicini produce una crescita prostrata, con vegetazione che sfugge in cerca di luce. In presenza di animali si può assistere a una “brucatura” costante dei nuovi germogli, che mantengono quotidianamente cimata la vegetazione. Insetti, malattie o traumi possono provocare la morte di una zona del tronco o delle radici, lasciando vuoti che si possono estendere a tutta la struttura. Questi e altri fattori esterni provocano, con meccanismi a volte ancora sconosciuti, un’alterazione della forma, non dovuta soltanto alla causa in sè, ma anche all’effetto: la parte viva continua a crescere attorno alla parte morta e la combinazione di causa ed effetto da come risultato una forma totalmente unica e irripetibile. Così come un animale, una pianta non sceglie dove nascere, ma a differenza degli animali, le piante non possono “migrare” e sono costrette loro malgrado a rimanere sempre nello stesso luogo, subendone le conseguenze per tutta la vita.
Foto 5 – Querce da sughero (Quercus suber) modellate dal vento (Sardegna). |
Trasportando questo discorso a una pianta bonsai, dobbiamo innanzitutto chiarire che in questo caso una pianta, può ispirare una forma all’artista, ma sarà poi l’artista stesso a costruirla, basandosi su canoni estetici o su osservazione di forme naturali. In ogni caso, l’idea è quella di ottenere una forma che ricordi un albero nella sua fase adulta, di maturità, il che a seconda delle specie che stiamo utilizzando, porta a diversi tipi di impostazioni: nelle conifere l’apice è sempre molto definito, così come l’asse principale del tronco, i rami laterali sono orizzontali, o leggermente inclinati verso il basso, mentre nelle caducifoglie l’asse principale è definito solo nella parte iniziale, la parte alta si divide in rami principali via via più biforcati formando una chioma arrotondata, la parte bassa invece è caratterizzata da rami orizzontali, che stanno ormai sfuggendo alla dominanza apicale e si allungano verso l’esterno uscendo dall’ombra dei rami superiori, oppure in certi casi sono assenti, e l’intera chioma è tondeggiante. Indipendentemente dallo stile adottato, ogni bonsai ripe te forme presenti in natura, con variazioni sul tema che si riscontrano anche negli alberi naturali, e dipendono dalla specie e dalle condizioni ambientali. Nella maggior parte degli esemplari allevati a bonsai si cerca anzi di dare unicità a una pianta, riproducendo forme estreme, a volte apparentemente impossibili, se non fosse che in natura si trovano esempi ancora più incredibili.
Fonti
- Facoltà di agraria, università di Firenze: Lezioni di Botanica Generale
- Dipartimeno di Biologia Vegetale, Università di Torino: Struttura del Legno
- Pierre Raimbault: L’albero, un entità biologica
- Foto: Foto 1: Andrea Borghi – Foto 2: Andrea Borghi – Foto 3: Andrea Borghi – Foto 4: bonsai Italia – Foto 5: Andrea Borghi
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Daniele dice:
Complimenti per questo articolo molto interessante e ricco d’informazioni utili. Devo sostenere un esame di Arboricoltura Generale quindi ne faro’ tesoro.